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mercoledì 29 ottobre 2014

AS THE GODS WILL

di Matteo Marescalco
 
Nel mondo del Cinema esistono mestieranti ed autori. E poi, c'è Takashi Miike.
Cineasta bulimico (ogni anno gira non meno di tre film), fagocitatore e destrutturatore dei più svariati generi cinematografici, dallo splatter all'horror, dai film per l'infanzia a quelli di denuncia sociale, dal filone degli yakuza al western, il regista giapponese è stato in grado di realizzare uno dei cinema più vitali dell'ultimo decennio.
Alla nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, ha ricevuto il Maverick Director Award (destinato, nelle ultime tre edizioni, a Walter Hill e a Tsui Hark) e ha presentato, in anteprima mondiale, la sua ultima fatica (sarebbe più lecito dire “il suo ultimo giocattolo”): As the Gods Will.
Il fulmineo incipit, dopo un'inquadratura a strapiombo sul protagonista, Shun Takahata, che si è lamentato della noiosa routine quotidiana, e ha chiesto a Dio di far in modo che accadesse qualcosa di diverso dal solito, è un colpo al cuore. Lo spettatore è scaraventato all'interno di una classe, in cui, durante una normale giornata di scuola, la testa del professore esplode e compare, al suo posto, una bambola parlante ed assassina, la Daruma ga koronda, che dà luogo ad una versione mortale di “Un, due, tre, stella!” e miete una vittima dopo l'altra. Resta un solo superstite e si passa, improvvisamente, al secondo gioco, altrettanto diabolico e sanguinoso. Il meccanismo iniziale che sfrutta la noia che fagocita l'apatica vita umana e che consente il disvelamento di un mondo segreto richiama alla memoria il prologo del meraviglioso romanzo di Clive Barker, La casa delle vacanze, in cui un giovane si trova a dover fare i conti con una casa stregata in cui non sembrano esistere tempi morti. Il primo sintagma condensa, al suo interno, quelli che sono i caratteri salienti del cinema miikiano: l'ironia, il gore, il gusto per l'assurdo ed il grottesco, la violenza e il sangue che scorre a fiotti.
As the Gods Will è tratto dall'omonimo manga dell'autore giapponese Muneyuki Kaneshiro, Kami-sama no Iu Toori, e presenta visibili affinità con Battle Royale di Kenta Fukasaku, trasposizione del romanzo di Koushun Takami (da cui è stato tratto lo spunto per Hunger Games ed altri death game film), in cui un gruppo di giovani, estratti a caso, devono partecipare ad un crudele gioco di sopravvivenza in cui i ragazzi hanno il compito di uccidersi vicendevolmente per proteggere la propria incolumità.
Il film di Miike è strutturato sul modello di un videogame: le singole prove sono calate in una serie di realtà parallele nello spazio/tempo del film. A tal proposito, dunque, è impossibile non parlare di

livelli, inaugurando un discorso che rimanda alle varie missioni di un videogioco in una dinamica crossmediale in cui avviene una contaminazione tra cinema ed esperienze ludiche.
Questo gioco è planetario, altri ragazzi, in altre zone del mondo, lottano e muoiono, uccidendosi reciprocamente, balzando al centro dell'attenzione dei media che forniscono le più svariate interpretazioni: si tratta di un gigantesco reality show o di un'invasione aliena, di una punizione divina o di uno scherzo del Caso?
Con l'avanzare del film, la diegesi risente di un'eccessiva verbosità e di un indebolimento, dovuto alla forte meccanicità della costruzione causale della struttura drammaturgica che, tuttavia, non infierisce sulla fantasmagoria pop e carnevalesca dell'apocalisse miikiana.

As the Gods will mostra, nella sua perizia tecnica e nella commistione tra live action e CGI, un mondo iperformalizzato in bilico tra Bene e Male, in preda alla perversione del sistema mediatico e di un Dio che gioca in modo dissacrante con i suoi figli. Il gioco mortale di Miike è una lezione di regia e di montaggio dal forte impatto visivo, un pastiche cromatico, un divertissement che non si prende mai sul serio, che diverte e stupisce e che dimostra quanto, attualmente, il cinema giapponese sia il più vitale e il più aperto di tutti alle sperimentazioni formali e culturali. 

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