di Matteo Marescalco
Nel
mondo del Cinema esistono mestieranti ed autori. E poi, c'è Takashi
Miike.
Cineasta
bulimico (ogni anno gira non meno di tre film), fagocitatore e
destrutturatore dei più svariati generi cinematografici, dallo
splatter all'horror, dai film per l'infanzia a quelli di denuncia
sociale, dal filone degli yakuza al western, il regista
giapponese è stato in grado di realizzare uno dei cinema più
vitali dell'ultimo decennio.
Alla
nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, ha
ricevuto il Maverick Director Award (destinato, nelle ultime tre
edizioni, a Walter Hill e a Tsui Hark) e ha presentato, in anteprima
mondiale, la sua ultima fatica (sarebbe più lecito dire “il suo
ultimo giocattolo”): As the Gods Will.
Il
fulmineo incipit, dopo un'inquadratura a strapiombo sul protagonista,
Shun Takahata, che si è lamentato della noiosa routine quotidiana, e
ha chiesto a Dio di far in modo che accadesse qualcosa di diverso dal
solito, è un colpo al cuore. Lo spettatore è scaraventato
all'interno di una classe, in cui, durante una normale giornata di
scuola, la testa del professore esplode e compare, al suo posto, una
bambola parlante ed assassina, la Daruma ga koronda, che dà luogo ad
una versione mortale di “Un, due, tre, stella!” e miete una
vittima dopo l'altra. Resta un solo superstite e si passa,
improvvisamente, al secondo gioco, altrettanto diabolico e
sanguinoso. Il meccanismo iniziale che sfrutta la noia che fagocita
l'apatica vita umana e che consente il disvelamento di un mondo
segreto richiama alla memoria il prologo del meraviglioso romanzo di
Clive Barker, La casa delle vacanze, in cui un giovane si trova a
dover fare i conti con una casa stregata in cui non sembrano esistere
tempi morti. Il primo sintagma condensa, al suo interno, quelli che
sono i caratteri salienti del cinema miikiano: l'ironia, il gore, il
gusto per l'assurdo ed il grottesco, la violenza e il sangue che
scorre a fiotti.
As
the Gods Will è tratto dall'omonimo manga dell'autore giapponese
Muneyuki Kaneshiro, Kami-sama no Iu Toori, e presenta visibili
affinità con Battle Royale di Kenta Fukasaku, trasposizione del
romanzo di Koushun Takami (da cui è stato tratto lo spunto per
Hunger Games ed altri death game film), in cui un gruppo di giovani,
estratti a caso, devono partecipare ad un crudele gioco di
sopravvivenza in cui i ragazzi hanno il compito di uccidersi
vicendevolmente per proteggere la propria incolumità.
Il
film di Miike è strutturato sul modello di un videogame: le singole
prove sono calate in una serie di realtà parallele nello
spazio/tempo del film. A tal proposito, dunque, è impossibile non
parlare di
livelli, inaugurando un discorso che rimanda alle varie
missioni di un videogioco in una dinamica crossmediale in cui avviene
una contaminazione tra cinema ed esperienze ludiche.
Questo
gioco è planetario, altri ragazzi, in altre zone del mondo, lottano
e muoiono, uccidendosi reciprocamente, balzando al centro
dell'attenzione dei media che forniscono le più svariate
interpretazioni: si tratta di un gigantesco reality show o di
un'invasione aliena, di una punizione divina o di uno scherzo del
Caso?
Con
l'avanzare del film, la diegesi risente di un'eccessiva verbosità e
di un indebolimento, dovuto alla forte meccanicità della costruzione causale della struttura drammaturgica che, tuttavia, non infierisce
sulla fantasmagoria pop e carnevalesca dell'apocalisse miikiana.
As
the Gods will mostra, nella sua perizia tecnica e nella commistione
tra live action e CGI, un mondo iperformalizzato in bilico tra Bene e
Male, in preda alla perversione del sistema mediatico e di un Dio che
gioca in modo dissacrante con i suoi figli. Il gioco mortale di Miike
è una lezione di regia e di montaggio dal forte impatto visivo, un
pastiche cromatico, un divertissement che non si prende mai sul
serio, che diverte e stupisce e che dimostra quanto, attualmente, il
cinema giapponese sia il più vitale e il più aperto di tutti alle
sperimentazioni formali e culturali.
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