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domenica 18 marzo 2018

UN SOGNO CHIAMATO FLORIDA

di Matteo Marescalco

Fare un film vuol dire, più di ogni altra cosa, consentire la possibilità e l'apertura di traiettorie di senso che offrano sguardi plurimi a partire dai quali rielaborare la realtà portata in scena. Su questo versante, Un sogno chiamato Florida, diretto da Sean Baker e presentato all'ultima edizione del Festival di Cannes (alla Quinzane des réalisateurs), riesce a raggiungere il massimo del risultato.

Tra motel dai colori confetto e a forma di piccoli castelli da fiaba, si svolgono le quotidiane scorribande della piccola Moonee, accompagnata da Scooty e Jancey. Dove gli adulti vedono rovine e macerie, i tre bambini vedono luoghi magici in cui poter giocare, sotto la sorveglianza di Bobby, paziente custode e tuttofare del plesso condominiale. L'uomo ridipinge il motel, tiene d'occhio i bambini, gestisce i difficili comportamenti dei genitori e l'incursione in zona di un pedofilo. Ci troviamo alla periferia di Orlando, alle porte dell'utopia del Walt Disney World. Al centro di questo universo, trovano spazio tutte le famiglie che vanno in vacanza e scattano foto con il castello di Walt Disney alle spalle; la parte di confine ospita donne e contesti familiari che versano in condizioni di totale degrado.

Un sogno chiamato Florida è l'esempio più lampante di un cinema che ama i personaggi e le storie che racconta. Moonee e i suoi piccoli amici attirano la macchina da presa, che li pedina e registra gli scarti di sguardo tra il punto di vista dei bambini e quello degli adulti. Tutto il film è percorso dall'esplosione di attimi di energia, che sgorga con la forza di un corso d'acqua anche dalle situazioni più statiche. In questo paesaggio iperreale, caratterizzato da colori pastello e da non luoghi ed edifici dai tratti simulacrali, l'unico segno di autenticità è da riscontrare nell'indistruttibile vitalità dei più piccoli, che anche di fronte ad una crisi definitiva, non si sottraggono ad un'ultima corsa, verso il castello fatato per eccellenza.

Come in The Bad Batch, anche in questo film tutti gli emarginati sono relegati all'universo del condominio-motel, una sorta di riserva indiana che si fa luogo centripeto dove tutto e tutti ritornano, spazio che accoglie drammi personali, spesso nascosti e tenuti in silenzio. Come nel caso di Bobby, interpretato da uno straordinario Willem Dafoe, a cui basta un primo piano senza battute per comunicare infinite sensazioni. Questo film di Sean Baker è un saggio da manuale sul potere della meraviglia che abita l'infanzia in ogni aspetto della sua quotidianità, una camminata verso un futuro probabilmente impossibile da costruire ma in cui non smettere mai di credere. In fin dei conti, ciò che dovrebbe fare ogni spettatore nei confronti del cinema. 

1 commento:

  1. Uno dei film più belli visti in occasione del recupero pre-Oscar. All'inizio i bimbi si odiano ma proseguendo nel film si arriva a voler loro bene come succede al meraviglioso Bobby di Dafoe.

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