Se c'è un regista che, negli ultimi tempi, sta conquistando il cuore e la mente dei cinefili più duri ed intransigenti, questi è, senza dubbio, Pablo Larrain. Classe 1976, habitué del circuito internazionale dei festival di cinema, Larrain, dal 2008 in poi, ha inanellato una serie di successi: Tony Manero, Post Mortem, No, El club e Neruda. Dice del suo mestiere: -Il cineasta è come un bambino con una bomba in mano che può esplodere da un momento all'altro in faccia a chiunque-. Il 2016 è stato un anno particolarmente soddisfacente per il regista cileno, che ha visto uscire nei cinema Neruda e Jackie, due biopic che scardinano e rileggono completamente le regole del genere.
Il secondo dei due è stato presentato all'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia dove ha vinto il premio per la Miglior Sceneggiatura. L'orizzonte temporale narrato nel film consiste nei tre giorni intercorsi tra l'omicidio di John Fizgerald Kennedy, la sua sepoltura ed il dialogo/intervista tra Jackie e il giornalista Theodore H. White.
Il secondo dei due è stato presentato all'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia dove ha vinto il premio per la Miglior Sceneggiatura. L'orizzonte temporale narrato nel film consiste nei tre giorni intercorsi tra l'omicidio di John Fizgerald Kennedy, la sua sepoltura ed il dialogo/intervista tra Jackie e il giornalista Theodore H. White.
Bastano le prime sequenze a stendere un manifesto programmatico del cinema di Larrain e di ciò che lo spettatore andrà a vedere in Jackie. -Perchè una storia sia vera, occorre scriverne?- è una battuta che Jackie fa al giornalista. Tema centrale di Neruda e di quest'altro lungometraggio è quello della narrazione, della Storia, della finzione e del loro inevitabile cortocircuito narrativo all'interno di un prodotto mediale. L'intero film è avvolto da un alone straniante che ha nei frequenti primi piani, che sembrano ingabbiare i volti degli attori, e nei movimenti di macchina avvolgenti il centro della propria cifra stilistica. Fino a che punto è possibile ricostruire e gestire la Verità?
Quello di Jackie all'interno della Casa Bianca è il percorso di chi ha visto la propria identità frammentarsi e cerca di recuperarla attraverso i fantasmi dei predecessori. In tal senso, ogni oggetto di cui tanto parla la first lady si carica di un significato simbolico che oltrepassa il semplice investimento affettivo che il senso comune vorrebbe affidargli. Percorso individuale e collettivo vanno di pari passo: dalla Camelot dei Kennedy alla fine dell'infanzia americana. Bobby Kennedy si preoccupa della fine del Vietnam e dei possibili meriti che si prenderà Lyndon Johnson ma Jackie va oltre: il suo obiettivo è fare di John Kennedy un'icona, attraverso l'apparato spettacolare del suo funerale, dare lustro all'ultimo barlume della sua Camelot.
Chi è Jackie in questo biopic di Larrain? Un personaggio controverso, pieno di sè, debole, intransigente. Un fantasma che vaga, la cui verità è impossibile da raggiungere se non attraverso svariate interpretazioni personali. Il regista si dimostra assai abile nell'amalgama di sequenze di fiction e di filmati di repertorio, gestiti tramite notevoli raccordi di montaggio. Jackie è un labirinto privo di centro, in cui l'indagine su una figura storica si unisce a quella sulla prepotenza dei mezzi di comunicazione nella creazione di un'icona. La nostalgia del tempo che passa e dei fasti che furono ha nelle storie di dame e cavalieri il proprio riflesso naturale. Dimensione privata e pubblica si sovrappongono contribuendo ad alimentare il mistero su una figura umana impenetrabile e su un film che si attesta su altissimi livelli.
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