di Matteo Marescalco
Partiamo da un
inevitabile presupposto: odio i cani e, a maggior ragione, odio i film con cani
come protagonisti (ciò non toglie che, invece, ami i Cani). Per questo, sono
arrivato in sala con le peggiori aspettative, nonostante la presenza, tra gli
interpreti di Truman, di Ricardo Darin e Javier Camara e nonostante un palmares
che può vantare premi al San Sebastian Film Festival e, soprattutto, cinque Goya,
tra cui quello al Miglior Film, alla Regia, alla Sceneggiatura e agli Attori. Il
film di Cesc Gay mi ha piacevolmente colpito e soddisfatto per una serie di
motivazioni che approfondirò. E anche per il fatto che il cane, in fin dei
conti, appare solo per pochi minuti, nonostante rivesta una sua importanza
drammaturgica.
Javier Camara, dopo aver
interpretato uno steward disinibito ne Gli amanti passeggeri, torna,
ripetutamente in Truman a bordo di un aereo. Questa volta da semplice
passeggero. Nel film di Almodovar traghettava la Spagna verso il fallimento
totale, in una debacle che aveva in morte e sesso i suoi santoni. Qua, si
sposta dal Canada verso Madrid per trascorrere quattro giorni in compagnia del
suo migliore amico, un attore sull’orlo del fallimento e ad un passo dalla
morte per colpa di un tumore che da circa un anno lo debilita. Il suo fedele
compagno di vita è Truman, un bullmastiff con cui condivide ogni momento della
giornata. I due sono completamente diversi: Tomas (Javier Camara) è un docente
pragmatico e riflessivo, Julian (Ricardo Darin) è un estroso seduttore. Tra gli
incontri con le potenziali famiglie adottive di Truman, le visite mediche, le
serate a teatro e un viaggio a sorpresa ad Amsterdam, i due amici attraversano
i confini del tempo e sembrano vivere una seconda giovinezza. Velata,
ovviamente, da un filo di tristezza e di malinconia.
Nel film di Cesc Gay
appaiono diversi mezzi di trasporto, dall’aereo alle automobili. I personaggi
si muovono in macchina ma non disdegnano di andare, più volte, a piedi. Il
movimento sembra essere uno dei temi centrali di Truman. Tomas è madrileno ma
si è trasferito in Canada, dove ha formato una famiglia e insegna all’università.
Julian è un attore argentino che, a sua volta, si è trasferito in giovane età a
Madrid. Tempo e dinamismo caratterizzano le vite dei protagonisti del film. Il
figlio di Julian è nato a Madrid ma studia ad Amsterdam. Allontanarsi da casa è
il destino che colpisce tutti i personaggi di Truman. Con una serie di
conseguenze: chi si muove al termine dell’adolescenza abbandona i propri
migliori amici, dando una svolta definitiva alla propria esistenza. Julian e
Tomas hanno mantenuto i contatti a distanza, pur non vedendosi di presenza da
parecchio tempo. Cesc Gay, attraverso pochi e discreti tocchi, ha realizzato un
film sulla mancanza e sull’assenza. I sensi di colpa tormentano Julian, che
crede di avere pochi amici ed avrebbe voluto vivere più tempo con l’unico che
abbia mai avuto. Questa storia universale, che avrebbe potuto colpire lo
spettatore con un eccesso di pathos, rischiando di raggiungere persino una
rappresentazione pornografica del dolore, non disdegna di attingere più volte a
situazioni ironiche. Sono affidate all’istrionismo dei due attori una serie di
battute che abbassano il tono e alzano il ritmo di questa vicenda, in cui l’attenzione
alla sceneggiatura e alla delineazione dei personaggi evita la scrittura di
particolari scene madri e riesce a mantenere, lungo tutto il corso del film,
una tensione medio-alta.
Non si racconta nulla del
passato dei protagonisti. Lo spettatore scopre tutto attraverso frasi non dette
e sguardi mai rivolti, abbracci sofferti e commossa felicità. In soli quattro
giorni, i due amici vanno alla ricerca del tempo perduto, provando a
recuperarlo e ad affrontare il dramma della separazione definitiva. E,
inevitabilmente, vanno incontro a gioie e dolori. Mai ricattatorio né buonista,
Truman colpisce per l’intimità di certi dettagli e per la sofferenza che i
personaggi portano dentro di sé, rappresentanti di un universale dolore senza
età. Alla fine, basta uno sguardo, un’occhiata ed un sorriso, un qualsiasi
cenno di assenso e di intesa umana, per vivere una vita dignitosa sul versante
degli affetti.
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