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venerdì 15 aprile 2016

TRUMAN

di Matteo Marescalco
Partiamo da un inevitabile presupposto: odio i cani e, a maggior ragione, odio i film con cani come protagonisti (ciò non toglie che, invece, ami i Cani). Per questo, sono arrivato in sala con le peggiori aspettative, nonostante la presenza, tra gli interpreti di Truman, di Ricardo Darin e Javier Camara e nonostante un palmares che può vantare premi al San Sebastian Film Festival e, soprattutto, cinque Goya, tra cui quello al Miglior Film, alla Regia, alla Sceneggiatura e agli Attori. Il film di Cesc Gay mi ha piacevolmente colpito e soddisfatto per una serie di motivazioni che approfondirò. E anche per il fatto che il cane, in fin dei conti, appare solo per pochi minuti, nonostante rivesta una sua importanza drammaturgica.
Javier Camara, dopo aver interpretato uno steward disinibito ne Gli amanti passeggeri, torna, ripetutamente in Truman a bordo di un aereo. Questa volta da semplice passeggero. Nel film di Almodovar traghettava la Spagna verso il fallimento totale, in una debacle che aveva in morte e sesso i suoi santoni. Qua, si sposta dal Canada verso Madrid per trascorrere quattro giorni in compagnia del suo migliore amico, un attore sull’orlo del fallimento e ad un passo dalla morte per colpa di un tumore che da circa un anno lo debilita. Il suo fedele compagno di vita è Truman, un bullmastiff con cui condivide ogni momento della giornata. I due sono completamente diversi: Tomas (Javier Camara) è un docente pragmatico e riflessivo, Julian (Ricardo Darin) è un estroso seduttore. Tra gli incontri con le potenziali famiglie adottive di Truman, le visite mediche, le serate a teatro e un viaggio a sorpresa ad Amsterdam, i due amici attraversano i confini del tempo e sembrano vivere una seconda giovinezza. Velata, ovviamente, da un filo di tristezza e di malinconia.
Nel film di Cesc Gay appaiono diversi mezzi di trasporto, dall’aereo alle automobili. I personaggi si muovono in macchina ma non disdegnano di andare, più volte, a piedi. Il movimento sembra essere uno dei temi centrali di Truman. Tomas è madrileno ma si è trasferito in Canada, dove ha formato una famiglia e insegna all’università. Julian è un attore argentino che, a sua volta, si è trasferito in giovane età a Madrid. Tempo e dinamismo caratterizzano le vite dei protagonisti del film. Il figlio di Julian è nato a Madrid ma studia ad Amsterdam. Allontanarsi da casa è il destino che colpisce tutti i personaggi di Truman. Con una serie di conseguenze: chi si muove al termine dell’adolescenza abbandona i propri migliori amici, dando una svolta definitiva alla propria esistenza. Julian e Tomas hanno mantenuto i contatti a distanza, pur non vedendosi di presenza da parecchio tempo. Cesc Gay, attraverso pochi e discreti tocchi, ha realizzato un film sulla mancanza e sull’assenza. I sensi di colpa tormentano Julian, che crede di avere pochi amici ed avrebbe voluto vivere più tempo con l’unico che abbia mai avuto. Questa storia universale, che avrebbe potuto colpire lo spettatore con un eccesso di pathos, rischiando di raggiungere persino una rappresentazione pornografica del dolore, non disdegna di attingere più volte a situazioni ironiche. Sono affidate all’istrionismo dei due attori una serie di battute che abbassano il tono e alzano il ritmo di questa vicenda, in cui l’attenzione alla sceneggiatura e alla delineazione dei personaggi evita la scrittura di particolari scene madri e riesce a mantenere, lungo tutto il corso del film, una tensione medio-alta.
Non si racconta nulla del passato dei protagonisti. Lo spettatore scopre tutto attraverso frasi non dette e sguardi mai rivolti, abbracci sofferti e commossa felicità. In soli quattro giorni, i due amici vanno alla ricerca del tempo perduto, provando a recuperarlo e ad affrontare il dramma della separazione definitiva. E, inevitabilmente, vanno incontro a gioie e dolori. Mai ricattatorio né buonista, Truman colpisce per l’intimità di certi dettagli e per la sofferenza che i personaggi portano dentro di sé, rappresentanti di un universale dolore senza età. Alla fine, basta uno sguardo, un’occhiata ed un sorriso, un qualsiasi cenno di assenso e di intesa umana, per vivere una vita dignitosa sul versante degli affetti.  

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