di Ousmane Seck e Macha Martini
NERD STATE OF MIND
Film dalla storia produttiva travagliata questo Ant-man.
Da anni il regista Edgar Wright (autore della Trilogia del cornetto) cercava di convincere la Marvel, e, per essere più specifici, Kevin Feige, attuale presidente dei Marvel Studios, a portare sul grande schermo la storia dell’eroe in miniatura, ma non di Hank Pym (il primo Ant-Man), ma di Scott Lang, traendo spunto dal fumetto Steal an Ant-Man.
La Casa delle Idee però aveva deciso di cimentarsi nella messa in scena degli Avengers, di sicuro più attraenti per un pubblico più variegato e non di soli fan.
Interessante, tra l’altro, scontro tra nerd e case produttrici e parallelamente tra i fan degli X-Men e degli Avengers, da sempre in lotta. Tuttavia, tutto questo fu fatto senza badare all’importanza di Hank Pym nella creazione degli Avengers stessi e, soprattutto, con la lavorazione a Age Of Ultron, senza tenere conto che il vero "papà" di Ultron è proprio il nostro piccolo eroe Ant-Man (il primo sia chiaro, che nei fumetti troviamo anche sotto forma di Giant-Man e di Calabrone, dopo la morte di Darren Cross; forma in cui, secondo le voci, lo vedremo nell’attesissimo Civil War di cui, da Maggio, sono cominciate le riprese). Dettaglio che può lasciare indifferente la maggior parte del pubblico formato da bambini, cinefili e spettatori occasionali, ma che ha lasciato interdetta la folla dei nerd.
Alla fine, dopo tanti anni, si riesce a condurre in porto il progetto, ma qui subentra un altro ingorgo: la sceneggiatura. Troppo inglese e irriverente per la Marvel. La migliore sceneggiatura passata per le mani della Casa delle Idee, secondo Whedon, che poco dopo avrà un enorme conflitto con la Disney e la Marvel per i tagli a cui è stato sottoposto Age Of Ultron, di cui aveva curato con molta passione la regia.
Questo porta a una rottura tra Wright e la casa produttrice che assume, dopo che il soggetto era passato per molte mani di altri sceneggiatori, Paul Rudd. È la volta buona? Per la Casa delle Idee sì.
Poteva essere un duro colpo per i fan della Dea dei Cinecomics. Rivedere, dopo tanto sul grande schermo, le origini di un supereroe e non di un supereroe qualunque. Un personaggio fresco e nuovo, diverso dagli altri standard degli eroi Marvel.
Non un supereroe pop e miliardario come Iron Man. Non un figo come Captain America. Non un semidio come Thor. Non un semi-mutante imbattibile come Hulk. Un eroe totalmente umano. Un fallito, con un grande potenziale, in cerca di una redenzione (non oscura come quella del Batman della concorrente DC, ma una redenzione a livello sociale e familiare).
Interessante e innovativo risulta infatti l’approfondimento psicologico che motiva le azioni del piccolo eroe: diventare l’eroe che la figlia già vede in lui, ma che la società ha distrutto come figura.
Se i fan della DC hanno sempre criticato nella Marvel la mancanza delle psicologie dei personaggi (basti fare un confronto tra Bruce Wayne, alias Batman, e Tony Strak, alias Iron Man) ecco qui un accenno, che si fa spazio in tutta la prima parte del film (si nota come la Marvel abbia imparato delle lezioni dal passato). Circa un quarto d’ora iniziale, con un montaggio molto lento in cui non viene mostrata nessuna dote particolare del protagonista, nessun "superpotere", ma solo la sua vita. Sul grande schermo seguiamo i passi di un uomo comune, anzi di uno sfigato à la Peter Parker, ma adulto, che pian piano mostra la sua bontà di cuore e la sua enorme intelligenza (per essere degli eroi non occorre un bel fisico, tanti soldi o un disastro chimico in un laboratorio ma solo bontà e intelligenza). Appena mostrata quest’ultima, ecco che appare il costume, ma anche qui la storia non si evolve in maniera tradizionale. Non è incentrata su combattimenti strabilianti e pieni di effetti speciali, anzi è l’allenamento, il diventare eroe che si trasforma nel fulcro della storia. I combattimenti sono sostanzialmente solo due e non hanno nulla di epico, differentemente da come siamo abituati. Questo potrebbe lasciare interdetti numerosissimi fan e rischiare che il film diventi un flop, ma invece è stata un’idea innovativa e rischiosa a cui va dato un grande merito: quello di aver rispecchiato il personaggio fumettistico, che, infatti, si distingue dalla massa dei suoi colleghi.
PICCOLE ASPETTATIVE, BUON DIVERTIMENTO
Lasciando da parte il mondo nerd, entriamo nei meandri del film, tra i suoi pregi e i suoi difetti. Buoni sono i movimenti di macchina, che si alternano tra brevi e pochi piani sequenza (non interessanti ed eleganti come quelli diretti da Whedon, ma comunque di gradimento alla vista) e stacchi lenti di montaggio.
Lo stile di regia in generale è molto semplice, cosa che calza a pennello con il personaggio presentato: un uomo semplice, comune.
Un buon cast, soprattutto per quanto riguarda Evangeline Lilly nel ruolo della figlia di Pym, Hope e che, come fa intuire la scena finale, sarà la prossima Wasp, sebbene in realtà nei fumetti essa sia impersonata dalla moglie di Pym Janet Van Dyne (qui è d’obbligo sottolineare come la storia di Hank Pym narrata nel film strizzi l’occhio alla saga fumettistica Secret Invasion e al fumetto di Aux, ovviamente con le dovute modifiche del caso). Inoltre, plauso particolare per la ILM (Industrial Light & Magic) che è stata capace di rendere graficamente credibile Ant-Man e il suo rimpicciolimento.
Il film è in generale molto scorrevole, divertente (anche se, come è solito nei film della Marvel, l’ironia usata lascia spesso a bocca asciutta) e innovativo.
Tuttavia, presenta due difetti abbastanza gravi. Durante la visione, si ha spesso la sensazione che il film scorra piano, ma la storia troppo velocemente, come se ci fossero dei buchi di sceneggiatura (colpa della produzione o di Paul Rudd?).
Infine, nota negativa, come accade per i film Marvel (ad esclusione di Age Of Ultron), è l’antagonista Darren Cross o, meglio, il noto a tutti i nerd: Calabrone. Piatto e privo quasi di qualsiasi tipo di approfondimento e motivazione dietro le sue azioni. A essere motivato infatti è solo il suo odio nei confronti di Pym, ma non la sua pazzia e la voglia di trasformare un’importante scoperta in un’arma da vendere all’Hydra.
Parlando dell’Hydra, nel film ci sono numerosissimi collegamenti a film passati della Marvel e futuri, segnale che la Casa delle Idee si sta preparando alla costruzione, come già aveva annunciato Age Of Ultron, di un vero e proprio universo cinematografico di collegamento tra film, serie tv e fumetti. E qui non si può parlare della seconda e ultima scena dopo i titoli di coda dove si annuncia l’inizio della Civil War, dello scontro, soprattutto, tra Captain America e Iron Man, a cui prenderanno parte anche il primo e il secondo Ant-Man.
Scena che, a conclusione di un film forse un po’ sottotono per gli standard a cui il pubblico dei cinecomics è abituato, non può che far rizzare i capelli, raddrizzare le orecchie e spalancare gli occhi a chi, come i due autori di questo articolo, è nato, cresciuto e si è sposato con quel magico mondo di pagine di fumetti comprati, di mese in mese, nelle edicole o nelle fumetterie.
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