di Macha Martini
Le immagini scorrono frenetiche sullo schermo. Attaccano
lo spettatore. Lì, fermo. Indifeso. Gli occhi sgranati, la bocca
spalancata. Gag inspiegabili e geniali che lasciano il pubblico
stupefatto. Il tutto shakerato a momenti di horror capovolto (non
incutono terrore, anzi, creano situazioni paradossalmente
esilaranti). Un interessante e particolare, forse a molti tratti
trash, cocktail effervescente.
I protagonisti? Pedine della
società moderna nascoste dietro clowneschi e fantastici personaggi
che scappano veloci. Streghe e disadattati cronici. Donne e
uomini.
Zugarramurdi, il cuore tetro e nascosto della Navarra
Occidentale. Una moto scorre sull’asfalto. Tre fattucchiere. Un
piano diabolico architettato per avere la propria rivendicazione
sugli uomini. Irrompono i titoli d’inizio. Si mischiano immagini
storiche della stregoneria e foto di donne attuali. Si lega il
macrocosmo dell’immaginario fantastico collettivo e il microcosmo
della figura attuale della donna, ad anticipare il tema che sarà
trattato. Comincia il frizzante film di Álex de la Iglesia, che con
questo suo ultimo lavoro usa un ironico mondo gotico per riflettere
sulla guerra dei sessi nella società odierna.
Dialoghi
vivi, brillanti, svegli, spumeggianti, con vari riferimenti cinefili.
Montaggio ritmicamente acceso e dinamitico. Nulla è scontato.
I personaggi, volutamente macchiette pantagrueliche e gargantuesche,
calcano sulle difficoltà incontrate dagli uomini in relazione alle
donne, che stanno assumendo sempre di più le redini nelle relazioni.
Donne hitleriane s’infuriano ed evidenziano le carenze degli
uomini, totalmente impacciati, che tentano di far risalire la propria
autostima con un furto (ironicamente un furto di anelli nuziali,
simbolo di promesse mancate). Incappano però in Zugarramurdi, legata
al mondo delle streghe (nel 1610 l’Inquisizione condannò 11
persone, che furono arse vive), le più rappresentative del bagaglio
di frustrazione che il mondo femminile ha dovuto portarsi dietro per
anni e anni di storia.
In tutto questo, gli uomini sembrano impotenti
pedine che vagano (o meglio corrono), quasi nel buio, in una
scacchiera rabelaisiana in mano a due giocatrici. In una sedia
abbiamo donne forti e potenti che vogliono solo vendicarsi sul genere
maschile che per secoli, e in parte ancora oggi, ha cercato di
sopprimerle, relegandole in casa. Megere più che streghe.
Loro
rivale è un altro tipo di donna, Eva, interpretata da Carolina Bang,
il pizzico di spezie in più che rende succulento Las brujas de
Zugarramurdi, soprattutto grazie alla sua effervescente mimica
dello sguardo, che buca costantemente lo schermo e conquista lo
spettatore, pungendolo vivamente nel suo voyeurismo, che lo
spinge a spiarla, come Tony e José (due tragici protagonisti di
questa partita a dama), da dietro la fessura di una porta nel suo
esibizionismo volutamente spinto al massimo. Eva è la riproduzione
delle prime streghe, ovvero, delle sacerdotesse del dio Pan, legate
alle forze della natura ed è così infatti che si presenta in più
scene, come una forza della natura appena scatenata. Il nome di
sicuro non è casuale. Eva come la prima donna secondo i miti
biblici. Eva de Las brujas de Zugarramurdi è l’incarnazione
della prima donna e, sia caratteristicamente, ma anche a livello
logico di rimando, della prima strega. Indizio quasi fondamentale per
due ragioni: d’interpretazione (donne streghe e disadattati
cronici, fortemente derisibili, uomini) e intradiegetico di
rovesciamento (legato alla religiosità cattolica del regista
spagnolo). Se l’Eva biblica, infatti, conduce Adamo alla
perdizione, il personaggio di de la Iglesia viene condotto invece, in
una famiglia stregonesca dove la perdizione è il “bene”, da José
(un uomo che all’inizio del film conosciamo come raffigurazione di
Cristo) alla serenità (o quasi), data dalla nascita di una
complicità tra donna e uomo (dove però, si rimarca, è la donna la
testa e l’uomo è il braccio sotto le redini femminili).
Partendo
da una metafora quasi fantasy, nel film si mette a fuoco un
problema concreto: il
nuovo ruolo delle donne in una società su
cui si stanno abbattendo pian piano i muri maschilisti e le
difficoltà degli uomini davanti a tale cambiamento. Nel farlo, il
regista destruttura il genere horror portando in scena una
delirante commedia nera che viaggia tra derisione tanto del
genere maschile (mostrato come carente e impacciato) quanto di quello
femminile (si accentuano gli stereotipi misogini sulle donne, in modo
molto comico, e anche i luoghi comuni, spesso distorti).
Esagerando
baroccamente, si ha un eccitante mix originale di generi
commerciali. Anche se pecca nella resa degli effetti speciali
(molto “caserecci” soprattutto per un pubblico abituato ai film
delle grandi case produttrici statunitensi) e per la gestione finale
dei tempi di scrittura, Álex de la Iglesia cattura il pubblico con
una messa in scena elettrizzante, che ti colpisce passo dopo passo.
L’effetto è di un piacere quasi perverso che scorre veloce
come le immagini del film.
Nessun commento:
Posta un commento