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martedì 9 settembre 2014

VENEZIA 71: UN SAPORE DI RUGGINE E DI OSSA (ROTTE)

di Matteo Marescalco
 
Ancora una volta è stato terribilmente difficile uscire dal buco nero della Mostra del Cinema di Venezia, sogno di ogni cinefilo, dotata di un tempo a sé stante e di leggi proprie, e tornare al fuso orario quotidiano privo di particolari interessi. I festival del cinema rappresentano un'occasione fondamentale per guardare film che non trovano spazio nel circuito distributivo tradizionale, per incontrare e scambiare qualche parola con attori e registi, per stringere amicizia con cinefili provenienti da ogni regione d' Italia e, allargando un po' i confini, da ogni parte del mondo.
Pochi giorni fa, si è conclusa la 71esima edizione della Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, la terza diretta da Alberto Barbera che, durante il suo “mandato” ha rimosso i lustrini e le paillettes della gestione Muller a favore di un atteggiamento sobrio e lineare che ha gettato una luce su molte cinematografie ai confini del mondo. Barbera è stato in grado di prendere atto della fine dell'eurocentrismo cinematografico, da qualche anno a questa parte, e dello spostamento d'interesse degli USA nei confronti del mercato orientale, giudicato dagli americani più redditizio rispetto a quello del vecchio continente, a causa del quale alcuni autori che, alle porte della Mostra, erano stati dati per sicuri partecipanti (su tutti, Tim Burton e David Fincher), hanno preferito puntare su altri festival, concentrandosi sulla scena indie statunitense.
Quest'ultima Mostra, di sicuro, non sarà ricordata per la qualità dei film in concorso né per l'ampia presenza di star, qualificandosi come una delle edizioni più sottotono degli ultimi anni. Di seguito, proviamo a concentrare l'attenzione su alcuni film presentati durante la kermesse veneziana.

PARADISO

Birdman di Alejandro Gonzalez Inarritu
Tra Mulholland Drive e Nodo alla gola, Venere in pelliccia e Synecdoche, New York, Inarritu torna dietro la macchina da presa con Birdman, opera fiume incentrata su un attore che ha raggiunto il successo planetario nel ruolo di un supereroe alato. Tre piani sequenza di Lubezki bastano a delineare il ritratto di una Hollywood balorda e fagocitante. Il finale, con il controcampo negato, è l'esempio più fulgido di massima libertà concessa allo spettatore.
Voto: 8

Belluscone. Una storia siciliana di Franco Maresco
Nel suo maledetto mockumentary, Franco Maresco delinea le origini siciliane del successo berlusconiano. Tra cantanti neomelodici che vorrebbero conoscere “Belluscone”, impresari mafiosi secondo cui, però, la mafia, a Brancaccio, non esiste, e genitori che preferiscono avere i figli in galera anzichè tra le forze dell'ordine, il regista palermitano dirige il film che, insieme a La grande bellezza di Sorrentino e Reality di Garrone, potrebbe confluire in una ideale trilogia sulla distruzione infernale post berlusconiana.
Voto: 10

Hungry hearts di Saverio Costanzo
Dopo aver diretto quel piccolo horror dell'anima che è La solitudine dei numeri primi, tratto dall'omonimo romanzo di Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega, Costanzo si trasferisce negli USA, portando con sé l'italiana Alba Rohrwacher, vincitrice della Coppa Volpi come miglior interprete femminile. Tra grandangoli e movimenti impossibili, il film fa sua l'atmosfera onirica e lurida di registi quali Bava, Fulci e Argento, puntando sulla tensione psicologica e su un triangolo amoroso destinato a sfociare nella tragedia.
Voto: 7 ½

PURGATORIO

Words with Gods di Arriaga, Kusturica, Gitai, Nair, Thornton, Babenco, Ghobadi, Nakata, de la Iglesia
Il film collettivo, nato da un'idea di Guillermo Arriaga, è basato sul rapporto degli uomini con la spiritualità. L'episodio più riuscito è quello diretto da Alex de la Iglesia, dedicato alla religione cattolica, ed incentrato su un killer che viene scambiato da un taxista per un sacerdote, misunderstanding che gli cambierà la vita. Il capovolgimento finale è da schiantare dalle risate, nel tipico segno dello humour nero del regista spagnolo. Gli altri episodi sono criptici ed autoreferenziali fino al parossismo.
Voto: 7

Il giovane favoloso di Mario Martone
Era il film più atteso di Venezia 71, insieme a Pasolini di Abel Ferrara. E, insieme a Pasolini, è stato uno delle più cocenti delusioni. L'egida di mamma Rai interviene tarpando le ali alla creatività di Martone che dirige un biopic tradizionale che si concentra su alcuni anni della vita di Leopardi, presentato tramite una serie di focus su momenti di vita quotidiana. Germano gigantesco ma un po' troppo gigione.
Voto: 7

The sound and the fury di James Franco
L'onnivoro/onnipresente/onnipotente James Franco torna per il quarto anno consecutivo al Lido per presentare il suo nuovo film, tratto dal romanzo di William Faulkner. L'enfant prodige americano confeziona un film affascinante ma soporifero, diegeticamente spezzettato e terribilmente autoreferenziale. Franco è un metteur en scene ma, a causa del suo imperituro narcisismo, dovrebbe provare a concentrarsi maggiormente sulla narrazione a scapito della costruzione formale che finisce per attirare su di sé tutta l'attenzione del regista, trasformando il film in un gioco vuoto e fine a se stesso.
Voto: 6 ½

INFERNO

Pasolini di Abel Ferrara
Non vi è dubbio che se Pasolini avesse potuto scegliere un regista a cui affidare la realizzazione di un biopic incentrato sulla propria vita, avrebbe scelto Abel Ferrara. Il cineasta americano, da poco trasferitosi a Roma, ha portato in scena gli ultimi tre giorni di vita dell'intellettuale bolognese. Il film alterna episodi delle ultime ore di vita di Pasolini e scene oniriche dedicate al romanzo incompiuto Petrolio e al film mai realizzato Teo-Porno-Kolossal. Ne è venuta fuori un'opera regressiva e accomodante, smorta e sonnacchiosa, che non riesce a riprodurre il vampirismo pasoliniano.
Voto: 4

I nostri ragazzi di Ivano de Matteo
Un film italiano ambientato nel contesto di due famiglie alto borghesi. Gassman e Lo Cascio sono due fratelli. Il primo è avvocato, il secondo medico. Il primo ha una figlia, il secondo un figlio. I due cugini, durante una bravata notturna, picchiano un clochard, riducendolo in fin di vita. Le due famiglie reagiscono con un'ora di urla isteriche che conducono all'improbabile finale. Non se ne può più di robaccia del genere.
Voto: 2

One on One di Kim ki-duk
Tra violenze sessuali e mazzate, martellate sulle dita e sui genitali, Kim ki-duk confeziona una specie di ingiustificato Hostel/Saw orientale. Rimane solo il fantasma del cineasta che fu.
Voto: 1

Venite a trovarmi anche al seguente indirizzo:
http://www.letterefilosofia.it/2014/09/venezia-71-un-sapore-di-ruggine-e-di-ossa-rotte-2/

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