di Matteo Marescalco
Ancora
una volta è stato terribilmente difficile uscire dal buco nero della
Mostra del Cinema di Venezia, sogno di ogni cinefilo, dotata di un
tempo a sé stante e di leggi proprie, e tornare al fuso orario
quotidiano privo di particolari interessi. I festival del cinema
rappresentano un'occasione fondamentale per guardare film che non
trovano spazio nel circuito distributivo tradizionale, per incontrare
e scambiare qualche parola con attori e registi, per stringere
amicizia con cinefili provenienti da ogni regione d' Italia e,
allargando un po' i confini, da ogni parte del mondo.
Pochi
giorni fa, si è conclusa la 71esima edizione della Mostra d'Arte
Cinematografica di Venezia, la terza diretta da Alberto Barbera che,
durante il suo “mandato” ha rimosso i lustrini e le paillettes
della gestione Muller a favore di un atteggiamento sobrio e lineare
che ha gettato una luce su molte cinematografie ai confini del mondo.
Barbera è stato in grado di prendere atto della fine
dell'eurocentrismo cinematografico, da qualche anno a questa parte, e
dello spostamento d'interesse degli USA nei confronti del mercato
orientale, giudicato dagli americani più redditizio rispetto a
quello del vecchio continente, a causa del quale alcuni autori che,
alle porte della Mostra, erano stati dati per sicuri partecipanti (su
tutti, Tim Burton e David Fincher), hanno preferito puntare su altri
festival, concentrandosi sulla scena indie statunitense.
Quest'ultima
Mostra, di sicuro, non sarà ricordata per la qualità dei film in
concorso né per l'ampia presenza di star, qualificandosi come una
delle edizioni più sottotono degli ultimi anni. Di seguito, proviamo
a concentrare l'attenzione su alcuni film presentati durante la
kermesse veneziana.
PARADISO
Birdman
di Alejandro Gonzalez Inarritu
Tra
Mulholland Drive e Nodo alla gola, Venere in pelliccia e Synecdoche, New York,
Inarritu torna dietro la macchina da presa con Birdman, opera fiume
incentrata su un attore che ha raggiunto il successo planetario nel
ruolo di un supereroe alato. Tre piani sequenza di Lubezki bastano a
delineare il ritratto di una Hollywood balorda e fagocitante. Il finale, con il controcampo negato, è l'esempio più fulgido di massima libertà
concessa allo spettatore.
Voto:
8
Nel
suo maledetto mockumentary, Franco Maresco delinea le origini
siciliane del successo berlusconiano. Tra cantanti neomelodici che
vorrebbero conoscere “Belluscone”, impresari mafiosi secondo cui,
però, la mafia, a Brancaccio, non esiste, e genitori che
preferiscono avere i figli in galera anzichè tra le forze
dell'ordine, il regista palermitano dirige il film che, insieme a La
grande bellezza di Sorrentino e Reality di Garrone, potrebbe
confluire in una ideale trilogia sulla distruzione infernale post
berlusconiana.
Voto:
10
Hungry
hearts di Saverio Costanzo
Dopo
aver diretto quel piccolo horror dell'anima che è La solitudine dei
numeri primi, tratto dall'omonimo romanzo di Paolo Giordano,
vincitore del Premio Strega, Costanzo si trasferisce negli USA,
portando con sé l'italiana Alba Rohrwacher, vincitrice della Coppa
Volpi come miglior interprete femminile. Tra grandangoli e movimenti
impossibili, il film fa sua l'atmosfera onirica e lurida di registi
quali Bava, Fulci e Argento, puntando sulla tensione psicologica e su
un triangolo amoroso destinato a sfociare nella tragedia.
Voto:
7 ½
PURGATORIO
Words
with Gods di Arriaga, Kusturica, Gitai, Nair, Thornton, Babenco,
Ghobadi, Nakata, de la Iglesia
Il
film collettivo, nato da un'idea di Guillermo Arriaga, è basato sul
rapporto degli uomini con la spiritualità. L'episodio più riuscito
è quello diretto da Alex de la Iglesia, dedicato alla religione
cattolica, ed incentrato su un killer che viene scambiato da un
taxista per un sacerdote, misunderstanding che gli cambierà la vita. Il
capovolgimento finale è da schiantare dalle risate, nel tipico segno
dello humour nero del regista spagnolo. Gli altri episodi sono
criptici ed autoreferenziali fino al parossismo.
Voto:
7
Il
giovane favoloso di Mario Martone
Era
il film più atteso di Venezia 71, insieme a Pasolini di Abel
Ferrara. E, insieme a Pasolini, è stato uno delle più cocenti
delusioni. L'egida di mamma Rai interviene tarpando le ali alla
creatività di Martone che dirige un biopic tradizionale che si
concentra su alcuni anni della vita di Leopardi, presentato tramite
una serie di focus su momenti di vita quotidiana. Germano gigantesco
ma un po' troppo gigione.
Voto:
7
The
sound and the fury di James Franco
L'onnivoro/onnipresente/onnipotente
James Franco torna per il quarto anno consecutivo al Lido per
presentare il suo nuovo film, tratto dal romanzo di William Faulkner.
L'enfant prodige americano confeziona un film affascinante ma
soporifero, diegeticamente spezzettato e terribilmente
autoreferenziale. Franco è un metteur en scene ma,
a causa del suo imperituro narcisismo, dovrebbe provare a
concentrarsi maggiormente sulla narrazione a scapito della
costruzione formale che finisce per attirare su di sé tutta
l'attenzione del regista, trasformando il film in un gioco vuoto e
fine a se stesso.
Voto:
6 ½
INFERNO
Pasolini
di Abel Ferrara
Non
vi è dubbio che se Pasolini avesse potuto scegliere un regista a cui
affidare la realizzazione di un biopic incentrato sulla propria vita,
avrebbe scelto Abel Ferrara. Il cineasta americano, da poco
trasferitosi a Roma, ha portato in scena gli ultimi tre giorni di
vita dell'intellettuale bolognese. Il film alterna episodi delle
ultime ore di vita di Pasolini e scene oniriche dedicate al romanzo
incompiuto Petrolio e al film mai realizzato Teo-Porno-Kolossal. Ne è
venuta fuori un'opera regressiva e accomodante, smorta e
sonnacchiosa, che non riesce a riprodurre il vampirismo pasoliniano.
Voto:
4
I
nostri ragazzi di Ivano de Matteo
Un
film italiano ambientato nel contesto di due famiglie alto borghesi.
Gassman e Lo Cascio sono due fratelli. Il primo è avvocato, il
secondo medico. Il primo ha una figlia, il secondo un figlio. I due
cugini, durante una bravata notturna, picchiano un clochard,
riducendolo in fin di vita. Le due famiglie reagiscono con un'ora di
urla isteriche che conducono all'improbabile finale. Non se ne può
più di robaccia del genere.
Voto:
2
One
on One di Kim ki-duk
Tra
violenze sessuali e mazzate, martellate sulle dita e sui genitali,
Kim ki-duk confeziona una specie di ingiustificato Hostel/Saw
orientale. Rimane solo il fantasma del cineasta che fu.
Voto:
1Venite a trovarmi anche al seguente indirizzo:
http://www.letterefilosofia.it/2014/09/venezia-71-un-sapore-di-ruggine-e-di-ossa-rotte-2/
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