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lunedì 5 febbraio 2018

BRIGHT

di Matteo Marescalco


Sono passati più di dieci anni da Io sono leggenda e dalla prima collaborazione con Gabriele Muccino, eppure Will Smith sembra continuare a percorrere quegli stessi binari solitari: training corporeo, afflato eroistico e costanti ricerche della felicità. Ma qualcosa è cambiato, questa volta.

Risale appena a Maggio, in occasione del Festival di Cannes, la presa di posizione di Pedro Almodovar contro Netflix e quella di Smith contro il regista spagnolo. In breve, il presidente di giuria riteneva quanto meno bislacca l'idea di inserire in concorso un film che poi non sarebbe andato incontro alla regolare distribuzione in sala. «Ciò non significa che io non sia aperto alle nuove tecnologie o non voglia celebrarne le nuove opportunità, ma finché avrò vita lotterò per difendere la capacità d'ipnosi con cui il grande schermo cattura gli spettatori» sosteneva Almodovar. Dalla parte opposta si situava proprio l'attore afroamericano, per l'occasione in veste di membro della giuria: «Ho dei figli di 16, 18 e 24 anni a casa. Vanno al cinema due volte a settimana e guardano Netflix. (…) A casa mia Netflix non è che un grandissimo beneficio, perché i miei figli guardano lì dei film che altrimenti non avrebbero mai visto». Insomma, immaginario da un lato e totale fruibilità globale dall'altro.

In quell'occasione, la piattaforma di video on demand portava in concorso gli ultimi film di Bong Joon-ho e di Noah Baumbach e preparava, da lì a pochi mesi, l'uscita in pompa magna del suo primo blockbuster, Bright, affidato alla direzione di un regista muscolare come David Ayer e alla scrittura di Max Landis (che su Netflix era già precedentemente sbarcato con Dirk Gently-Agenzia di investigazione olistica). 

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