di Matteo Marescalco
Walter Mitty (n.): "An ordinary and timid person who indulges in fantastic and adventurous daydreams of personal triumphs".
Dopo Giovani, carini e disoccupati, Il rompiscatole, Zoolander e Tropic Thunder, Ben Stiller torna dietro la macchina da presa per realizzare la trasposizione di un breve racconto del vignettista ed umorista americano James Thurber, I sogni segreti di Walter Mitty, già portato sullo schermo da Norman McLeod nel 1947.
Il protagonista del film, Walter Mitty, è il tipico uomo comune, conduce una vita anonima e da ben 16 anni è responsabile dell'archivio fotografico della rivista Life, è innamorato di una donna con cui non ha il coraggio di dichiararsi e si incanta e sogna ad occhi aperti effettuando soventi viaggi di fantasia. Un giorno, quando arriva la notizia della chiusura della versione cartacea di Life a favore di quella online (ad opera di un gruppo di rottamatori immaturi ed ignoranti), e si pone il problema della realizzazione della copertina dell'ultimo numero, Sean O'Connell, uno dei più grandi fotografi di sempre, invia a Mitty il negativo della foto che ha definito ritraente la quintessenza della vita. Negativo che, tuttavia, viene dato per disperso. Sarà proprio Walter, che durante la sua vita non è mai uscito dal suo rassicurante e cadenzato ritmo quotidiano, eccetto che nei suoi sogni ad occhi aperti, ad andare alla ricerca del fotografo e del negativo, in un'avventura al di là di ogni sua fantasia.
The secret life of Walter Mitty, questo è il titolo originale del film, rappresenta l'approdo all'età adulta e alla maturità per Ben Stiller che, già, nella parodia di guerra, Tropic Thunder, aveva dato prova di una piena consapevolezza dei meccanismi simulacrali che dominano il mondo del cinema hollywoodiano, e che, qui, sveste la sua tipica maschera da commedia demenziale a favore di una più orientata verso uno spiccato atteggiamento drammatico e nostalgico che non lesina comunque trovate ironiche e che ben si adatta al ritmo complessivo del film che si sviluppa su vari livelli di lettura. La quinta regia di Stiller, che ha dato anima e corpo a Walter Mitty, anche per quanto riguarda i costi di produzione che si sono aggirati intorno ai 90 milioni di dollari (una cifra notevole per un film del genere), può innanzitutto essere definita come un romanzo di formazione incentrato su una detection on the road, la ricerca della #25, la venticinquesima foto dell'ultimo rullino inviato da Sean O'Connell, interpretato da Sean Penn che incarna, con il suo volto scavato e profondamente invecchiato, la figura di un fotografo freelance che ha completamente indirizzato la propria vita alla sua passione ("Vedere le cose a migliaia di chilometri di distanza, le cose nascoste dietro le pareti e
all'interno di una stanza, cose pericolose da raggiungere...per poi restare stupiti", come recita il motto di Life), in continui viaggi alla ricerca di attimi irripetibili, consapevole, tuttavia, che ciò che è veramente bello non può essere catturato, ma deve essere semplicemente osservato senza l'interposizione dell'obiettivo della macchina fotografica. O'Connell scatta ancora fotografie su pellicola, è un idealista, come Walter Mitty, che si occupa, nel suo impiego, della gestione dell'intero archivio fotografico di Life, "custode" di un immenso patrimonio di ricordi consistenti e palpabili, di un archivio che è lontano anni luce dalla smaterializzazione digitale dell'immagine fotografica, idealista come Ben Stiller, che ha girato questo film su pellicola e che ha dichiarato, nella conferenza stampa che si è tenuta venerdì 13 dicembre a Roma che, visto il tema trattato nel film, non avrebbe potuto fare altrimenti, fissando come fine programmato del film un atto d'amore nei confronti dei vecchi metodi di ripresa. Perchè I sogni segreti di Walter Mitty è, e questa è un'altra chiave di lettura, un film profondamente metacinematografico che si interroga, alla maniera del recente Her di Spike Jonze e di Avatar di James Cameron, sul passaggio del Cinema dalla tecnologia analogica a quella digitale e, soprattutto, sul modo in cui possono sopravvivere le relazioni umane all'epoca dei social network, in cui si è soli in mezzo alla gente. E, se Her e Avatar individuavano nella voce e nell' immagine affezione dell'occhio (elemento metacinematografico per eccellenza) degli elementi peculiari alla
condizione e agli affetti umani, il Walter Mitty di Ben Stiller individua nella mente umana creatrice-regista dei propri sogni la base da cui partire per dare il via alla riscossa e ad un deciso cambio di rotta in vite sempre più attraversate dalla più comune indifferenza. Oltre ad essere un sentito e commosso atto di amore nei confronti della pellicola e dei supporti fotografici "cartacei", questo film tratta anche il problema del mondo del lavoro e dei licenziamenti, orchestrati da una politica di giovani descritti come completi idioti che non conoscono il reale valore del passato. Ed è in questo che, probabilmente, il film pecca di una lieve dose di infantilismo ed ingenuità, nell'andare ad individuare nella modernità e nel progresso digitale ed informatico, con fin troppa facilità, il seme di ogni male e nella tecnologia un ostacolo ai rapporti reali. I sogni ad occhi aperti vengono quasi sempre trattati da Ben Stiller come la base da cui partire, elementi che consentano l'avvio di una determinata azione, anche se sappiamo che nella realtà non sempre ciò è possibile.
A livello stilistico ed estetico, a spiccare sul resto del film, che non eccelle in raccordi di montaggio e che, man mano che va avanti si fa sempre più sfilacciato a livello diegetico, perdendo in compattezza ed organicità del corpus narrativo, è la prima mezz'ora, caratterizzata da sequenze ordinate in modo geometrico con particolare rigore nella disposizione dei corpi nel profilmico e da un'assoluta corrispondenza tra forma e contenuto: le scene ambientate in un contesto reale sono girate con camera fissa e monotone carrellate, i sogni ad occhi aperti, invece, sono ripresi in modo molto più dinamico ed esaltante e non esiste un vero e proprio elemento scatenante che fa capire allo spettatore il passaggio dalla realtà all'elemento onirico, passaggio che avviene lentamente grazie, per l'appunto, ai lievi aggiustamenti stilistici di cui detto
sopra. Con l'incedere della pellicola, aumentano a dismisura le sequenze che raffigurano meravigliosi ambientazioni paesaggistiche che sembrano uscite direttamente da Into the wild (ironia della sorte, Walter Mitty incontra il personaggio interpretato da Sean Penn nel bel mezzo delle terre selvagge) e di cui si ha la netta sensazione che sopperiscano alla mancanza di altri elementi ben più importanti e decisivi. La finale entrata in gioco della provvidenza orienta il film verso un'overdose di buonismo con una decisa virata verso un didascalismo che lascia con un filo di amaro in bocca, viste le precedenti premesse (e promesse). Ciò che colpisce maggiormente lo spettatore sono le musiche e la complessiva bellezza visiva difficile da estinguere, che proiettano immediatamente il lungometraggio di Stiller nel proprio immaginario e fanno dimenticare la debolezza diegetica in un'esaltazione del potere salvifico dei sogni. In definitiva I sogni segreti di Walter Mitty è il tipico film dai buoni sentimenti, attraversato da una serie di difetti strutturali ben visibili ma che, tuttavia, non gli impediscono di ancorarsi saldamente al cuore e di non lasciarlo per molto tempo. Perchè il mondo può apparire diverso, più bello e più autentico, se, per citare la Space Oddity di David Bowie che fa parte della soundtrack del film, lo si guarda dall'alto della propria immaginazione "stellare" con gli occhi fanciulleschi di Walter Mitty.
Voto: ★★★1/2
Non ero sicuro, ma per "colpa" tua lo vedrò di sicuro
RispondiElimina