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martedì 30 gennaio 2018

I PRIMITIVI

di Matteo Marescalco

È l'alba dei tempi. Creature preistoriche e natura incontaminata vivono in perfetta simbiosi. Il primitivo Dag e la sua bizzarra tribù si muovono nei pressi di una zona che corrisponderebbe all'odierna Manchester. La vita scorre tranquilla, tra preghiere alle forze che animano la natura e caccia ai conigli. Tuttavia, improvvisamente, una mattina come tante altre, l'Età della Pietra viene ufficialmente minacciata dall'Età del Bronzo e la tribù di Dag è costretta ad abbandonare le proprie abitazioni. Lo scontro tra civiltà prende vita attraverso un'epica partita di calcio. Riusciranno i nostri eroi della Pietra a portare a casa la vittoria? Contro ogni previsione, grazie all'aiuto di Ginna, energica tifosa e calciatrice niente male, le possibilità di vittoria sembrano aumentare. A nulla serviranno i tentativi di indebolire la squadra dei primitivi da parte del malvagio Lord Nooth.

L'ideatore di Wallace & Gromit torna alla regia dieci anni dopo aver diretto Questione di pane o di morte, ultima sua prova dietro la macchina da presa, nonché quarto ed ultimo film che vede come protagonista il più celebre duo comico della Aardman Animations. Se, nel 2000, Galline in fuga rileggeva La grande fuga di John Sturges, questo I primitivi richiama alla mente Fuga per la vittoria.

La possibilità che i personaggi dell'Età della Pietra hanno di tornare alle loro vecchie abitazioni, dopo l'allontanamento coatto che hanno subito, ruota attorno ad una partita di calcio, sport totalmente sconosciuto ai nostri che, spesso, si arrovellano sul significato di un oggetto dalla forma tondeggiante inseguito da diversi uomini primitivi in alcune incisioni rupestri all'interno delle loro caverne. Che gli antenati dei nostri protagonisti sapessero già giocare a calcio? Probabile.
Sta di fatto che la comunità dell'Età del Bronzo può vantare il Real Bronzio, una squadra di campioni-prime donne più attenti alle proprie pettinature che a non prendere sottogamba gli avversari. Si ride tanto grazie a vivaci gag slapstick e a scambi di battute non-sense che ricalcano il tipico umorismo inglese. Alla necessaria cura richiesta dalla claymation si aggiungono numerosi dettagli che strizzano l'occhio agli adulti e, sicuramente, faranno ridere anche i più piccoli.

La critica americana ha già scorto nel film il fantasma della Brexit. Chi vi scrive si limita ad accontentarsi del divertimento che scaturisce dalla first storyline del racconto: una storia di formazione che aiuta a credere in sé stessi e a non abbandonare mai la speranza. Ovviamente, all'insegna di un umorismo tutt'altro che retorico e rassicurante. 

THE POST

di Matteo Marescalco

Steven Spielberg è, senza dubbio, uno dei più grandi narratori per immagini di tutti i tempi, il cui cinema strettamente ancorato alla cultura americana riesce tuttavia ad abbracciare un'universalità tematica in modo sempre più sorprendente. The Post riunisce il regista ad un duo da sogni: Meryl Streep e Tom Hanks si sono uniti a Spielberg nella realizzazione di un instant movie che ha bruciato le tappe per intercettare al meglio l'attuale situazione mondiale.

Daniel Ellsberg è un economista ed impiegato al Pentagono convinto che la guerra in Vietnam stia danneggiando gravemente il suo Paese. Decide, allora, di trafugare un dossier di ben 7000 pagine che attesta dettagliatamente l'implicazione militare e politica degli USA in Vietnam. I documenti contraddicono palesemente quanto sostenuto in pubblico da quattro presidenti. Il primo quotidiano a rivelare la questione è il New York Times che, a seguito di un'ingiunzione da parte della Corte Suprema, abbandona la partita. Quelli che passeranno alla storia come i Pentagon Papers finiranno tra le mani di Katharine Graham e Ben Bradlee, rispettivamente editore e direttore del Washington Post. Mettendo a rischio la sua azienda e la carriera dei propri redattori, Katharine decide di dare il via libera alla pubblicazione del dossier, svelando le menzogne della classe politica americana e assestando il primo duro colpo all'amministrazione Nixon.

Ciò che colpisce più di tutto, persino della straordinaria capacità di messa in scena del film, è la riflessione compiuta sul tempo. Nel mare magnum di film e di serie-tv usa e getta che omaggiano ed accarezzano con affetto i seventies, l'atteggiamento di Spielberg non si adagia mai su una simile trattazione superficiale ma crea un atto di resistenza all'istantaneità della cultura digitale della nostra epoca. In The Post, ogni azione necessita di un dato tempo per essere assimilata. In questa progressione, che segue il magma ribollente per linee verticali (l'architettura della locandina è già abbastanza esplicita), persino un soggiorno si trasforma nel palcoscenico della Storia, un luogo in cui ogni gesto, dal più palese al meno visibile, contribuisce all'innalzamento della tensione e al raggiungimento della meta. È come se la Storia trovasse la sua genesi nella convivenza tra dinamiche pubbliche e private, nella somma dei gesti di tutte quelle individualità che trasformano il film in una polifonia di voci.

La lezione di cinema di Steven Spielberg crede ancora negli oggetti, negli arredamenti, nei meccanismi e in ciò che rappresentano. Ogni dettaglio è un inno alla tangibilità ed alla dilatazione dell'attimo che fu. La catena di montaggio che dà vita al giornale cartaceo è osservata con lo stesso senso della meraviglia che ha animato i capolavori fantascientifici del regista americano che, ancora una volta, costruisce la tensione su un vastissimo campionario di caratteri. Il meccanismo di campo e controcampo edifica la geografia degli spazi nel cinema di Spielberg puntando tutto sulla centralità dell'essere umano nell'ecosistema della storia narrata. Ed è nel cinismo dei tempi correnti che Spielberg si fa carico di ricostruire un cinema come isola felice, ultimo custode di un bagliore mitologico che incendia lo schermo e le coscienze di chi guarda, confermandosi, ancora una volta come uno dei più grandi narratori per immagini di sempre. 

lunedì 29 gennaio 2018

SONO TORNATO

di Matteo Marescalco

Cosa succederebbe se, più di settant'anni dopo la sua scomparsa, Benito Mussolini tornasse improvvisamente tra noi? È questo il fortissimo high-concept da cui parte Sono tornato di Luca Miniero, remake “italianizzato” di Lui è tornato, il film che nel 2015 ha riportato Adolf Hitler a Berlino, tratto a sua volta dall'omonimo bestseller di Timur Vermes.

Come un novello Clark Kent, Mussolini precipita sulla Terra con la forza di un meteorite. Camminerà lungo i viali romani, girerà le periferie e percorrerà in lungo e in largo l'Italia, convinto di poter rifondare il suo impero, accompagnato da Andrea Canaletti, giovane regista di scarsissimo successo che crede Mussolini un attore comico e gli propone di diventare protagonista di un documentario su di lui. Claretta non c'è più e tutto, apparentemente, sembra cambiato. «Eravate un popolo di analfabeti. Dopo ottant'anni torno e vi ritrovo un popolo di analfabeti». Tra ospitate tv e comizi improvvisati, Mussolini riuscirà a diventare protagonista di uno show televisivo e si mette seriamente in testa di poter riconquistare il Paese.

Il film di Miniero è uno strano prodotto, un mash-up di documentario, candid camera e commedia classica che ibrida lo strano duo Massimo Popolizio-Frank Matano. Con un ottimo tempismo, Io sono tornato sbarca nelle sale italiane ad un mese dalle elezioni nazionali e, quindi, in piena campagna elettorale. E, per giunta, poco tempo dopo l'inasprimento delle leggi che regolamentano l'apologia del fascismo. L'agone politico è infiammato come poche altre volte. Il gravissimo problema che pesa su un'operazione già di suo abbastanza pericolosa consiste nel carisma con cui è tratteggiata la figura di Mussolini. L'imbarbarimento culturale del popolo italiano viene costantemente trattato con bonarietà e il racconto sembra propendere verso una parziale assoluzione del suo protagonista, il cui operato come uomo tende ad essere giudicato al di là di quello come politico. Miniero sbeffeggia Mussolini ed il modo in cui viene accolto da chi gli parla e gli chiede un selfie, salvaguardando sempre la sua figura da una sferzata finale che, invece, sarebbe stata necessaria.

Nel finale, Mussolini viene sottoposto ad un giudizio televisivo per aver ucciso un cane e viene
perdonato (anche) per le vecchie ed agghiaccianti idee che il suo simulacro continua a propagandare. Come se, in un certo senso, la sua figura potesse essere condannata ma non le idee che ne stanno alla base e che, invece, continuano imperterrite a strappare consensi ed applausi. Miniero ha voluto girare una distopia? Sì. Però, è pur vero che esistono distopie e distopie. E questa è, senza alcun dubbio, fortemente deprecabile. 

lunedì 22 gennaio 2018

LA FORMA DELL'ACQUA

di Matteo Marescalco


“Se vi dovessi parlare di lei, la principessa muta, che potrei dirvi? Vi dovrei parlare del quando? È successo tanto tempo fa durante gli ultimi giorni di regno di una Principessa delle fate. O vi dovrei parlare del posto? Una piccola città vicino alla costa ma lontano da qualsiasi altra cosa. O forse dovrei mettervi in guardia sulla veridicità di questi fatti e sulla favola dell’amore e della perdita e del mostro che ha tentato di distruggere tutto”.
 
Dopo qualche occasione sprecata, è con queste frasi che Guillermo del Toro torna al territorio che gli è più congeniale: quello in cui l’universo fiabesco si scontra duramente con una ben precisa realtà storica. Insomma, lo schema drammaturgico de Il labirinto del fauno, film che diede al regista messicano la notorietà internazionale, viene replicato anche in questo nuovo La forma dell'acqua, vincitore del Leone d'Oro alla 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Con un innesto funzionale all’esplorazione di anfratti oscuri e materici: l’amore e il sesso restituiscono corpi vergini e corrotti nascosti sotto apparenze completamente opposte.
 
La vicenda è ambientata nell’America dei primi anni ’60, in piena Guerra Fredda. In un laboratorio di massima sicurezza, legato a ricerche sulle più avanzate tecnologie in materia aerospaziale, viene tenuta prigioniera una creatura anfibia catturata in Amazzonia. Il dramma, evitando di indugiare sulla spedizione che ha portato alla sua cattura, ha inizio dalla detenzione e dagli esperimenti che vengono condotti su questo mostro della laguna, una sorta di divinità che stravolgerà i destini di tutte le persone entrate in contatto con lui. Parallelamente, lo sguardo della macchina da presa trascina lo spettatore nella quotidianità ordinaria di Elisa (Sally Hawkins), la principessa senza voce, una tenera ragazza che si occupa delle pulizie del laboratorio e che abita in un appartamento ubicato sopra un cinema. A tenerle compagnia è il suo migliore amico Giles, un disegnatore di manifesti solitario, un “relitto”, come si definisce più volte, interpretato da Richard Jenkins. Le giornate trascorrono simili, tra voli immaginari ed umiliazioni lavorative, fino a quando Elisa entra in contatto con la creatura anfibia e con la sua nemesi, Strickland (Michael Shannon), responsabile della sicurezza del laboratorio. 

mercoledì 3 gennaio 2018

THE GREATEST SHOWMAN

di Matteo Marescalco

*recensione pubblicata su Point Blank: http://www.pointblank.it/recensione//the-greatest-showman/

Stati Uniti, metà Ottocento. Phineas Taylor Barnum è il figlio di un sarto che, alla sua morte, lascia il bambino privo di parenti. Per lui, si aprono le porte di una triste infanzia dickensiana, tra piccoli furti e sogni ad occhi aperti. Sì, proprio sogni ad occhi aperti. Perchè se c'è un campo in cui P.T. Barnum eccelle, è proprio quello dell'immaginazione. Il ragazzo inizia a credere nel sogno americano e a percorrere il binario dell'ascesa sociale che lo porterà al traguardo della fama e della ricchezza internazionale. Nato in condizioni poco agevoli, Barnum non ha mai considerato la povertà come un freno al raggiungimento dei propri obiettivi ma, al contrario, come lo stimolo per creare dal nulla la vita che ha sempre sognato. Utilizzando la fantasia per plasmare il suo mondo come un pezzo di creta, colui che sarebbe diventato il più grande showman ed impresario di tutti i tempi si indebita fino al collo per trasformare la sua visione in realtà e riesce persino a risorgere dalle sue ceneri, spingendo sempre il suo sguardo al di là rispetto allo steccato a cui si ferma quello della gente comune.