di Macha Martini
Silenzio. Strade deserte. Solo rumori di fondo. Scarpiccio. Niente musica. Niente parole. Solo silenzio, profondo e avvolgente. Stai lì con loro, con i soldati che camminano nelle strade abbandonate. Abbandonate come loro, come noi. Nel silenzio, ogni sguardo, vuoto e perso, diventa pesante, diventa un rumore che si leva dal più profondo degli abissi. Spari. Mitragliatrice. Bisogna correre. Ancora silenzio, solo più rumoroso. Niente musica, perché non stiamo vedendo un film, noi stiamo lì dentro con i soldati, anche noi seguiti come topi nelle strade sperdute. Anche noi intrappolati in quella spiaggia bianca, dalla fotografia fredda e agghiacciante. Agghiacciante come il terrore, fredda e azzurra come il mare, l’unica fonte di salvezza, ma anche di morte, le cui onde tacciono silenziose. Silenziose come le migliaia di truppe britanniche disperate che si trovano lì, senza niente, senza nessuno, con solo sé stessi e il rumore del silenzio. Questo è l’incipit dell’epico thriller d’azione dallo sfondo storico dell’eclettico Christopher Nolan: Dunkirk, prodotto da Syncopy e Warner Bros. Pictures.
Nolan non vuole girare il solito film di guerra, pieno di azione ed eroi. Vuole girare la verità. Il suoDunkirk è un enorme film spettacolo, ma è anche una storia profondamente umana». «Ha voluto coinvolgere il pubblico nella storia perché vivesse le stesse vicende ed emozioni dei personaggi, che fossero i soldati sulla spiaggia, i piloti in cielo o i civili sulle imbarcazioni». Ha voluto coinvolgerlo, perché, come afferma, da inglese, è una storia che «ci appartiene: è nel nostro sangue», nel quale risuonano le forgotten voices of Dunkirk.
A detta di Emma Thomas, storica socia produttrice di Nolan, «l'obiettivo, come espresso dai primi minuti, è di raccontare quel momento storico in un film che coinvolge il proprio pubblico, avvolgendolo completamente, immergendolo come se fosse un’onda del mare, senza perdere il ritmo e la tensione, che salgono come la marea, fino ad arrivare a una catarsi amara e malinconica. Una storia alla quale a noi, grazie alle tecniche di scrittura (o meglio: “non scrittura”) e di regia di Nolan, ma anche di montaggio, suono, fotografia e scenografia del cast, sembra di aver partecipato. «È questa l’esperienza che volevamo per il nostro pubblico: far provare loro la sensazione di essere a Dunkirk», afferma il regista. «La nostra idea era di catapultare il pubblico» in quella che Nolan stesso definisce: «l’estrema corsa contro il tempo e la morte» in «una situazione straordinariamente ricca di suspense» e di intensità.
La chiave di lettura del film è strutturata in tre archi temporali, legati a tre dimensioni spaziali: terra, acqua, aria, intrecciate in un abile montaggio di Lee Smith, che permette di condividere il viaggio di ognuno dei personaggi, tra cui spicca un potente e feroce Tom Hardy, che buca lo schermo solo con gli occhi («ci sono dei momenti nel film dove si vedono solo i suoi occhi, eppure riesce a comunicare e a raccontarci una storia anche solo così, con gli occhi»). Lo scopo principale di Nolan era di mettere il pubblico direttamente sulla spiaggia o sulle imbarcazioni dei civili che attraversavano la Manica oppure nella cabina di pilotaggio degli Spitfire, per questo la scelta è stata di girare in IMAX, alternato al 65 mm, così che, «quando ci si siede al cinema, lo schermo sparisce e si ha una vera e propria esperienza sensoriale fisica», e ancora, «l’effetto finale è molto viscerale e coinvolgente e trascina il pubblico nella storia». A contribuire a questo effetto è di sicuro anche il lavoro apportato dalla colonna sonora. A detta di Nolan: «l’insolito ritmo della sceneggiatura doveva essere amplificato dalla musica. La colonna sonora nel film infatti sembra un unico brano lungo con una struttura tonale aggregante e complessa. Gli effetti sonori e le varie tempistiche della storia sono intrecciate nella trama della musica di Hans». Richard King, il supervisore al montaggio sonoro, aveva registrato il motore della Moonstone (imbarcazione del film). Questi suoni sono stati ritoccati da Hans Zimmer, in modo che sembrassero un motore in costante accelerazione, e uniti al ticchettio di un orologio sincronizzato e al rumore degli ottoni, creando un’energia che aggiunge suspense. Ad aggiungere ancora suspense, Nolan e Zimmer hanno implementato una variazione alla scala di Shepard, una tecnica che crea un’illusione acustica di toni in costante ascesa, in modo tale da ottenere «una colonna sonora che riverberasse le circostanze dell’evento».
Dunkirk è un film evento. Ti catapulta dentro la storia, o meglio, fa penetrare la storia dentro le tue
ossa, facendoti sentire il gelo dell’avvenimento, tra i rumori protagonisti nell’immenso silenzio, una fotografia fredda e impenetrabile e un montaggio dinamico e ricco di suspense. Il tutto unito alle ricostruzioni storiche e precise dello scenografo Nathan Crowley. «Una storia di sopravvivenza e un trionfo dello sforzo collettivo, opposto all’eroismo del singolo individuo». Un film prettamente tecnico e che, grazie alla tecnica (dalla scelta di usare la mdp a spalla per le scene ambientate in acqua per avere riprese più stabili a quella di approfittare del tempo inclemente, che ha donato alcune delle migliori riprese della parte ambientata sulla terra; e, per finire, alla decisione di Van Hoytema, dop, di costruire una lente ruotante periscopica, che permetteva di inserire l’IMAX dentro lo spazio angusto della cabina di pilotaggio per le scene in cielo) può essere considerato l’emblema del cinema: ciò a cui il cinema ha da sempre, dai fratelli Lumiere con il pubblico che saltava alla vista del treno, voluto aspirare. Dunkirk non è un film, è il cinema, ovvero, «simulacro della realtà».