di Matteo Marescalco
Citando e riadattando al contesto una battuta de La grande bellezza: “Quante certezze avete, non so se invidiarvi o provare una forma di ribrezzo”.
All'indomani della vittoria del Golden Globe come Miglior Film Straniero, il dibattito sul film di Sorrentino ha raggiunto, in un climax ascendente che prosegue, ormai, da vari mesi, l'apice del sublime ridicolo e della paraculaggine desolante. C'è chi rosica in silenzio; chi lo fa con una megalomania strabordante (accusando, poi, Sorrentino di essere megalomane); chi giudica senza, però, criticare e fornire il minimo straccio di argomentazione a supporto delle proprie idee; chi giudica fornendo argomentazioni risibili e confuse; chi, pur non avendo amato il film, ma animato da orgoglio patriottico, mostra il proprio entusiasmo; chi sostiene che Sorrentino abbia vinto perchè quest'anno “era senza rivali, chi avrebbe dovuto vincere se non lui?”; chi sostiene che Sorrentino abbia vinto perchè ha realizzato, furbone com'è, un film “di quelli che piacciono agli americani”, sorvolando sul fatto che i Golden Globes sono assegnati da una giuria di giornalisti della stampa estera; c'è chi rimprovera Sorrentino per aver ritirato il premio con eccessivo distacco e disinteresse, come se gli spettasse di diritto, non comportandosi come un buffone di corte.
Tutti questi “personaggi” sono gli stessi che, puntualmente e da svariati anni, criticano, senza vederlo, il cinema italiano, perchè non propone nulla di nuovo, perchè (preparatevi a questa) i registi italiani non sanno fare i film che, invece, sanno fare all'estero i registi stranieri; gli stessi che criticano il cinema di Virzì, Luchetti, Bruni e Cotroneo perchè provinciale; di Garrone e Vicari perchè anacronistico; dei Taviani perchè di eccessivo impianto teatrale; di Bellocchio perchè lento e noioso; gli stessi che criticano il sentimentalismo banale e lacrimevole di Mieli; gli stessi ancora che criticano il cinema di Sorrentino perchè vuoto e troppo attento allo sviluppo formale delle sue opere a scapito della tenuta narrativa (sorvolando sui meriti di un autore che si è sempre dimostrato coerente ed ha saputo costruire un percorso autoriale in parte autobiografico basato sullo sviluppo di temi comuni a tutti i suoi film, sul declino, sulla rovinosa caduta, che sia quella di un ex cantante napoletano o di un rocker americano, di uno statista o di uno scrittore ormai fallito, di un commercialista eroinomane o di un usuraio; sul contrasto tra passato splendente e presente decadente, accompagnando la riflessione sul versante individuale della questione a quella sulla società contemporanea). Critiche che sfociano in un continuo piagnisteo poco costruttivo o in offese snob prive di fondamento.
Tutti voi, che boicottate a prescindere “gli incostanti sprazzi di bellezza” di alcuni film italiani “sepolti sotto il chiacchiericcio e il rumore”, per poi guardare menate straniere pseudo intellettuali, ve li meritate Checco Zalone e i Soliti Idioti.
Ve li meritate.
Vi allego la mia recensione a La grande bellezza.